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Schedature etniche: perché non possiamo tacere
Antropologi contro la schedatura dei rom:
"Salvini discrimina, noi non possiamo tacere"
Dall'ateneo di Bologna è partita una petizione dei docenti rivolta a Mattarella e Conte: "Intervenite a difesa della Costituzione"
di ILARIA VENTURI
"Schedature etniche: perché non possiamo tacere".
Stavolta contro le affermazioni sul censimento dei rom del ministro dell'Interno Matteo Salvini sono gli antropologi e, più in generale, i professori universitari a ribellarsi. Lo hanno fatto con una petizione on line che viaggia verso le mille firme, partita dal gruppo di studiosi dell'università di Bologna: l'etnomusicologo Domenico Staiti, Cristiana Natali, docente di antropologia culturale, Ivo Quaranta e Luca Jourdan, professori di antropologia ed etnologia.
"Come docenti, e come antropologi, non possiamo sottrarci al compito di manifestare il nostro dissenso di fronte ad affermazioni e intenzioni così gravi", osserva Cristiana Natali. Il professor Staiti parla di atto di "resistenza umana". "Il senso della petizione non è tanto quello quello di sperare di ottenere un risultato - spiega - comunque proviamo a far capire le cose alla gente, vogliamo ribadire il fatto che ci sono confini che non possono essere valicati: è una battaglia culturale necessaria". In questo caso, aggiunge, il "riferimento etnico è pesantissimo e colpisce una categoria più marginalizzata. Un'aggressione inamissibile basata su luoghi comuni che non sono supportati dai dati di realtà".
L'appello è rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al premier Giuseppe Conte: "Riteniamo opportuno, in quanto membri della società civile, consegnare queste nostre riflessioni alle massime cariche dello Stato", dicono i docenti per esprimere "riprovazione e dissenso" rispetto alle affermazioni di Salvini e per chiedere un intervento a difesa della Costituzione.
"Rom e sinti non vivono soltanto in accampamenti e non sono identificabili a partire dall’appartenenza etnica - spiegano i professori - Hanno documenti d’identità che li identificano come cittadini italiani o di altri paesi (la condizione di apolide non appartiene che a circa il 10% dei rom provenienti dall’ex-Jugoslavia), e sono soggetti alle leggi cui sono soggetti gli altri cittadini italiani e gli altri stranieri, e godono degli stessi diritti. L’intenzione di censire o di schedare rom e sinti, dunque, è inutile e inattuabile: ha funzione meramente propagandistica e giova a istituire il principio che si possono certificare differenze basate sull’appartenenza etnica. Il che in Italia non è consentito, dal momento che viola apertamente il dettato della Costituzione" e della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
La petizione (si può firmare su change.org) è dettagliata, riporta alla realtà dei fatti. Il censimento del 2009 – quello voluto da Maroni, cui fa riferimento Salvini -fu bloccato dalle critiche dell’Ue e dell’Onu, viene ricordato. Il Consiglio di Stato ha condannato il governo a risarcire gli schedati quando si sono fatte parziali schedatura. Nel 2013 il Tribunale di Roma ha riconosciuto un risarcimento di ottomila euro a un cittadino che era stato schedato nel piano emergenza nomadi del 2010. E ancora: "Non si capisce su quali basi si possano distinguere i “campi rom” da altri “campi” (ad esempio tendopoli o gruppi di baracche di operai, di braccianti agricoli o di altri senza casa, italiani o stranieri che siano) senza operare distinzioni e discriminazioni su base etnica".
Le dichiarazioni del ministro Salvini - conclude la petizione - sono "apertamente discriminatorie: nulla le giustifica; anzi, molti argomenti militano esattamente in senso inverso. Per la prima volta dall’abrogazione delle leggi razziali, il 20 gennaio 1944, una persona che svolge un ruolo istituzionale in Italia fa, nell’esercizio delle proprie funzioni, dichiarazioni di contenuto così manifestamente contrario ai principi basilari della nostra società e della nostra Costituzione Repubblicana. Questi fatti – al di là delle smentite, delle conferme, delle correzioni, delle nuove affermazioni, delle rinnovate smentite, insomma di quello strumentale “dichiara e smentisci” cui ci stiamo abituando - sono di una gravità enorme".